Racconti della Tundra

Sulle tracce dell’orso. Protagonisti uomini e orsi, coinvolti in avventure narrate con vigorosa limpidezza

 15,00

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Autore: Juri Blinov

ISBN: 978-88-6099-013-6
Pagine: 208
Formato: 14 x 21
Anno: 2006
Anteprima: non disponibile

Descrizione

Dalla presentazione di Enrico Capodaglio: Quando sentiamo parlare di gelo o di fuoco in un racconto occidentale di oggi è probabile che si tratti di metafore, che il gelo sia simbolo dell’indifferenza e il fuoco sia quello della passione. Nei Racconti della tundra di Juri Blinov invece il gelo – il gelo: ‘Non sono i sogni che ti ammazzano, ‘solo il gelo’. E il fuoco – il fuoco: ‘Rimasi senza fuoco, il che in inverno equivale a morte certa’. Le storie, tradotte con efficacia da Gabriella Andreassi, sono ambientate infatti nell’immensa regione Tjumen, nella Siberia occidentale, oltre la catena degli Urali, dagli anni Ottanta, attraverso la perestroijka, fino ai tempi recenti, e vedono protagonista l’ingegnere Chubarov, che incontra uomini e animali, impressi per la loro poderosa e guizzante vitalità. Siamo nella tundra, intervallata dalla taiga boscosa, fra cieli solcati da stormi di pernici bianche e notti illuminate dalle fiaccole perenni dei pozzi petroliferi. E’ una vita di lavoro e di caccia, per sopravvivere negli inverni rigidi e lunghi, sfidando i tanti pericoli ma soprattutto battendosi moralmente in nome dell’amicizia e del coraggio, che fanno salvo l’onore. Fra orsi aggressivi e urlanti ma così teneri da traghettare un indigeno lungo un fiume in piena, alci battagliere uccise vilmente a colpi di mazza, cani eschimesi che salvano la vita al padrone, si snodano avventure narrate con tale vigorosa limpidezza da far riaffiorare a tratti nel cuore Le memorie di un cacciatore di Turghenev. Faccio questo così alto nome, al quale è avvinto dalla gioventù il mio piacere di lettore, non solo perché Juri Blinov, nato nel 1946 in uno sperduto paese, può riconoscersi nella poetica dei cosiddetti pochvenniki, nella tradizione slavofila, che li lega al suolo della grande Madre russa. Ma anche e soprattutto per la raffinata e forte ‘ingenuità’ con cui egli sa raccontare, immedesimandosi in tartari allegri, in contadine analfabete, in indigeni burloni, eredi di una cultura magica e popolare che irrompe con evidenza emozionante. Tanto che il confine tra vita vissuta e immaginata finisce per perdersi.

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