l’Arena di Verona in 40 anni di incontri con i grandi protagonisti – la video intervista

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Un viaggio affascinante e irripetibile nella storia dell’Arena di Verona e in quella dei suoi protagonisti: da Béjart a Zeffirelli
40 anni di incontri con i grandi protagonisti che hanno fatto la storia della lirica e dell’Arena, nel racconto di Claudio Capitini, autore del libro E LUCEVAN LE STELLE

Riproduciamo il bel servizio di TelePace con l’intervista di Francesca Martini all’autore – Link al libro

Ringraziamo TelePace e la giornalista Francesca Martini. Riportiamo in forma scritta la piacevole e interessante intervista di Claudio Capitini.

Intervista con l’autore di “E lucevan le stelle”, Claudio Capitini

Francesca Martini: Bentrovati, oggi uno spazio, una cavalcata, una chiacchierata con un amico, un collega Claudio Capitini che di recente ha realizzato un libro che è una cavalcata un documento nella storia dell’Arena di Verona.

S’intitola e lucevan le stelle, l’Arena di Verona raccontata dai protagonisti tantissimi nomi importantissimi che sono passati da Verona, dal palcoscenico dell’Arena da Nureyev a Carla Fracci solo per dirne alcuni. Tenori che Claudio ci dirà.

Il libro è speciale sono delle interviste, racconta una storia un periodo culturale di una Verona, ricca, il libro è edito da Gabrielli, ma Claudio come sempre la prima domanda di un autore è: Come nasce questo libro? Perché l’hai pensato?

Claudio Capitini: Nasce per un desiderio fondamentalmente quello di perdere di vista la cronaca spicciola che di questi giorni ci riporta la fondazione Arena, stia lottando per una sopravvivenza per recuperare la memoria storica; degli spettacoli, quarant’anni di spettacoli areniani, e dei grandi che hanno fatto grande, magica, unica, la nostra Arena, il più grande anfiteatro all’aperto al mondo.

Poi Francesca c’è stata una seconda motivazione, che è quella di andare a verificare se nel tempo i grandi che ho avuto l’onore di intervistare a distanza di tempo avevano detto delle cose che evitavano quella memoria.

E quando accade quello che era imponderabile, verificare che intanto, del giornalista, avevo fatto bene il mio mestiere. Perché dovendo scrivere per il giornale, dovendo fare delle interviste come stai facendo tu, per la televisione e per la radio.

E poi in qualche modo tener tutto documentato, be mi fa dire che insomma si è lavorato bene, perché lo scrupolo c’era l’aggiornamento c’era, la voglia di approfondire i temi c’era e soprattutto l’amore verso quella professione. La professione del direttore d’orchestra, del cantante lirico dello scenografo del costumista e perché no anche del sovraintendente.

C’è un unico sovraintendente tra i miei intervistati. Unico tra i tanti, ed è il nostro amico Renzo Giacchieri. Perché Renzo Giacchieri?

Perché Renzo Giacchieri prese in mano l’Arena da sovraintendente dopo Cappelli che per tutto il mondo del melodramma, era il grande maestro, per il quale, dicono i grandi che lo frequentavano, non c’era bisogno di stringere patti scritti, bastava una “stretta di mano“.

Allora un episodio su tutti per dire cos’era Cappelli e che cos’era allora l’ente lirico Arena di verona. La grande Kabaivanska che è protagonista di Madama Butterfly. In Arena lei era Madama Butterfly. Una sera, io, da capoufficio stampa, dell’arena anni ’90, avevo fatto appiccicare al mitico ingresso numero 57 un cartello che vietava l’ingresso ai non addetti ai lavori, perché le prove generali “gheran de tutto e de più”.

Le prove generali erano un vero e proprio spettacolo! Una sera Kabaivanska, il portiere le dice:

– Scusi lei?
– Dovrei entrare in Arena.
– Guardi se non ha un pass o un’autorizzazione, io non posso farla entrare. Lei chi sarebbe?
– Io sono Madama Butterfly.

Il portiere scorre l’elenco, ero testimone della cosa.

– Guardi mi dispiace ma nell’elenco non c’è.

Lei imperturbabile dice: “va bene allora madama butterly se ne va“.

Se non la rincorro per piazza Bra, pregandola in ginocchio la riporto indietro, la prova generale non si fa.

Durante l’intervista questo episodio che riporto nel libro “E Lucevan Le Stelle” lei mi dice: “Vede signor Capitini, allora con Cappelli non c’era bisogno di mettere degli affissi, bastava una stretta di mano e il contratto c’era”. Oggi la burocrazia sta uccidendo la cultura.

Francesca Martini: Lo diceva negli anni ’90!

Claudio Capitini: Da allora credo sia un po peggiorata la situazione.

Francesca Martini: Direi di si…
Prima di iniziare questa nostra chicchierata mi è piaciuta una cosa. Ti ho chiesto come nasce questa passione che poi ti ha portato a intervistare, e quindi possiamo leggere tutti, a incontrare i grandi.

Claudio Capitini: Che poi sono, ricordiamolo, Bolle, Bocelli, Carrera, Domingo, Pavarotti, Kabaivanska, per arrivare al grande Nureyev…..Fracci, Zeffirelli.

Francesca Martini: Ma tu li conoscevi dall’inizio, avevi questa passione dall’inizio da giovane giornalista?

Claudio Capitini: No assolutamente. Io ero appassionato di teatro, teatro di prosa, perché laureato a padova in lettere e filosofia, mi son poi diplomato nel piccolo teatro di milano. Il teatro era dentro, e i veronesi che ci vedono sanno che per una vita ho anche calcato le scene con la vecchia e mitica Barcaccia del Totola. Mai dimenticato, maestro insuperabile.

Ma io ero appassionato di teatro di musica e non sapevo nulla, se nonché da “butereto” cantava nei concorsi per la musica leggera, la passione c’era.

Una sera per esigenze televisive, mi chiesero di fare un servizio su uno spettacolo areniano. Mi feci accompagnare da un collega dell’arena che di melodramma sapeva.

E sui gradoni quella sera, ricordo c’era Andrea Chenier con Martin Uci, protagonista e fu amore a prima vista, fu un’esplosione emotiva tale per cui sentii la necessità di capirne di più e di studiare, di studiare e di studiare.

Per il segreto nostro, cara Francesca, è questo: da giornalisti avvicinarsi ai grandi, sapendo che più sono grandi, più sono disponibili. Ma guai a commettere l’errore di fare una domanda banale.

Ricordo una volta, d’avanti ad un grande, che si chiama Riccardo Muti, eravamo in tre giornalisti; il primo del corriere della sera disse: Maestro ma mi scusi, ma lei crede in Dio?

E Riccardo Muti disse: Ma a lei cosa interessa se io credo in Dio.

Io ero li e disse: ma perdoni maestro, ma la musica non è già raggiungere un poco, una vetta di paradiso?

E io ho cominciato un’intervista che proseguiva. Il collega del corriere poi riporterà il giorno dopo, le mie domande con le sue risposte.

I grandi ripeto, grandissima verità, più sono grandi, più sono disponibili, ma avvicinarsi a loro con umiltà, con preparazione, con aggiornamento. Andando a vedere il giorno prima cosa avevano fatto.

Francesca Martini: Com’è cambiato o meglio com’era quel periodo? Com’era quarant’anni fa, l’Arena di Verona, la città di Verona dal punto di vista culturale. Hai avvicinato così questi grandi nomi.

Claudio Capitini: Era storico quasi si potrebbe dire unico e irripetibile. Perché c’era una congiuntura preziosissima che metteva insieme negli spettacoli dei cast eccezionali. Un po come accadeva anche nella prosa, dove oggi è impensabile mettere insieme Glauco Mauri con Vittorio Gassman. Così era allora, c’eran grandi registi ma che accompagnavano i grandi scenografi, i grandi coreografi, e i grandi cantanti.

Oggi la situazione è ben diversa, perché sappiamo che economicamente parlando la crisi abbia influito anche sul mondo dello spettacolo.

Io non c’ho mai creduto, ed ho sempre pensato che il mondo dello spettacolo il business lo facesse se lo si sapeva in qualche modo incardinare nei giusti parallelismi che vengono realizzati, se manager sono al posto giusto, e se sanno che la cultura può essere un preziosissimo materiale, non sa svendere ma da mettere a disposizione del mondo.

D’altra parte l’apertura dei musei fatta oggi da Franceschini lo sta a dimostrare.

Una cosa è stata una riflessione inquietante, fatta al termine delle mie 80 interviste. Nel tempo quei grandi in modo preciso, puntuale, stigmatizzavano quelli che erano, i temi e i problemi che esistevano.

Francesca Martini: c’eran già i problemi che oggi viveva la fondazione.

Claudio Capitini: assolutamente! Il tema del corpo di ballo, la voglia della privatizzazione, i fondi dello spettacolo che se aspettavano a venire, e una volta non c’erano e una volta c’erano.

I problemi sono sempre esistiti, e quei grandi lo andavano a segnalare. Ma negli anni ahimè chi era sulla poltrona giusta per prendere eventuali e dare eventuali congrue risposte, non l’ha mai fatto. Tanto che oggi i problemi sono evoluti o involuti al punto che si è stati ai limiti del baratro, come nel mio libro ben scrivo.

Un baratro si spera, si profetizza e si augura alla Fondazione Arena di risorgere, ma attenzione perché, “E Lucevan le Stelle“, ieri, si spera che potranno brillare anche domani. Ma se si fissano le stelle e non si guarda il selciato, si pensa che solo fissandole le stelle si risolvono i problemi si può inciampare e cadere nell’abisso.

Francesca Martini: L’immagine credo sia abbastanza eloquente, non serve andare avanti.
Senti tornando al tuo libro e alle tue interviste, qual’è il personaggio che ti è rimasto nel cuore?

Claudio Capitini: Ma almeno due o tre permettimi. Ho tre ricordi precisi, il primo è quello di Nureyev, “pensa ti”.

Francesca Martini: Io infatti sono molto curiosa; raccontaci perché Nureyev è praticamente il mito.

Claudio Capitini: E’ il mito per eccellenza, poi era l’intoccabile, l’inarrivabile, il narciso, quello che dovevo inseguire per una vita, prima, invece, è stato di una facilità unica.

E’ bastato esser presente alle sue prove, era il Don Chisciotte in Arena, lui era peraltro coreografo e regista, ed è stato semplice poi guardarci in faccia  e capire che piaceva scambiare qualche parola.

Mi ha dato appuntamento davanti all’ingresso Artisti del teatro Filarmonico  dove si era in prova, ci siamo seduti sulla scalinata, fredda, ed era verso la sera peraltro e l’intervista venne al punto che il grande Nureyev mi disse in un italiano correttissimo: “Senti ma a questo punto perché non la continuiamo questa intervista?”.

Ci demmo appuntamento a “la botega del vin” finita la prova li in Arena, e li ho scoperto la vulnerabilità di questi grandi come a suo tempo l’avevo scoperto con un’altro grande qual’era Gassman.

Secondo piccolo aneddoto, quello con Riccardo Muti. In Arena prepara la Requiem di Verdi, mi da appuntamenti al Filarmonico, perché nel pomeriggio all’ombra al filarmonico si facevan le prove con l’orchestra.

Io per scrupolo e atavica abitudine mi presento 15 minuti prima delle 15 perché l’appuntamento va rispettato e con giusta educazione.

E lui era già la che mi aspettava. Dissi: “Maestro ma sono in ritardo?”, “No sono io che amo anticipare gli appuntamenti” (rispose Riccardo Muti).

Se vuoi l’ultimo racconto è quello di Ezralow, forse qualcuno non se lo ricorda, uno dei più grandi ballerini, che poi sarà anche una “top model”, si può dire “una top model al femminile per fare capire a che punto di eccellenza era arrivato con degli spot televisivi straordinari”.

Un grande ballerino, un grande coreografo, frequentava il teatro filarmonico e anche il Darena ma non riuscivo assolutamente a intervistarlo. Finalmente lo becco per la città, nel pomeriggio lui faceva fotografie in città. Lo stavo inseguendo ormai da 15 giorni con cocciuta testardaggine.

Mi vede mi individua e dice: “e va bé facciamola questa intervista, però alla mia maniera, ci sediamo sui selciati della Bra”. I selciati della Bra, quella pietra veronese, “che l’è se calda da morire”, pensa te seduti li facemmo l’intervista, faceva capolino la gente che ha fatto da pubblico.

Facemmo li, l’intera intervista, molto fiorettata, molto a da scherma, perché mi sfidava, e alla fine ha regalato a tutti una piroetta straordinaria.

Ecco mi viene in mente forse l’ultimo, il mito per eccellenza il tenore in Arena Franco Bonisolli. Era il tenore per eccellenza a “Radames” su una bellissima nel libro.
Lui finito lo spettacolo areniano, passava per gli stun ancora vestito da Radames.

Francesca Martini: Che belli questi racconti!

Claudio Capitini: E poi pensa Francesca, te lo termino questo, poi nei pomeriggi invece, in bicicletta gironzolava per la Bra fino a quando qualcuno non lo riconosceva. Se qualcuno lo riconosceva, lui si metteva a cantare; è morto a 65 anni giovanissimo quando aveva avanti la vita.

Francesca Martini: Racconti queste cose, questi aneddoti, questi personaggi che sono arrivati qui a Verona, che hanno calcato la scena dell’Arena, e sembra quasi che racconti una Verona di mille anni fa. In realtà non è di mille anni fa, però l’Arena è molto cambiata. Quest’atmosfera, questa aspettativa anche da parte dei veronesi dei grandi nomi. Adesso quasi quasi al veronese, non interessa tanto la stagione lirica. Anzi, una delle critiche “e ma ci sono sempre le stesse opere”.

In cartellone da un po di anni, a parte l’Aida, che è il punto fisso è l’opera per eccellenza, però in cartellone molto spesso si ritrovano sempre le stesse; e anche gli spettacoli se vuoi.

Claudio Capitini: L’Arena negli anni a differenza di quanto si crede in un luogo comune, ha sempre saputo rivoluzionare se stessa. Pensa all’Aida del pizzi, l’Aida blu. Pensa all’Aida di Giuffi, per arrivare all’eccellenza cinematografiche di Zeffirelli.

Ma pensa che c’è stato Jean Villard con una grande croce per il suo “Don Carlos” in Arena e scenografi altisonanti, per carità.

Poi ci sono state anche le brutture, ricordo una scenografia di Barocalchi ai veronesi, ha fatto dire tanti epitoti, il giopomodoro, e tantissimi altri; il Minguzzi il grande Luciano Minguzzi, il garbuglia, scenografo di Visconti, che è presente in arena.

Ora, l’Arena ha sempre saputo rinnovarsi. Mi permetto di dire che forse non ha saputo comunicare tanto bene anche questo saper rinnovarsi. Ricordiamoci che l’Arena è il palcoscenico all’aperto più grande del mondo. 

Ma è anche l’anfiteatro più magico e dentro lo spettacolo è sempre lo spettacolo nello spettacolo. Un altro luogo comune va tolto quello che la musica in Arena sia secondaria allo spettacolo. Grandi direttori d’orchestra si sono cimentati con l’acustica areniana, cercando di migliorarla per poi concludere che così com’è è il meglio che si possa fare.

L’Arena ha tutte le potenzialità per avere davanti a se ancora mille anni.

Francesca Martini: E cosa mi dici dei concerti? in arena c’è la stagione lirica, ci sono le grandissimi opere. Però ci sono anche tanti concerti. Da piccola c’era il festival bar piuttosto che i grandi nomi, che sono passati di qua.

Claudio Capitini: Si. Ma allora tu vuoi proprio provocarmi allora? Io la penso in questo modo. I grandi concerti in arena ci sono stati, hai citato il Festivalbar negli anni ’80 era un evento che avveniva alla fine della stagione, in settembre. Poi ci sono stati grandi eventi, dei nomi clamorosi che arrivavano in Arena. Io ricordo di aver visto Frank Sinatra in Arena Deep Purple. Che cos’è accaduto dopo? L’arena è diventata e voi siete televisione, ed io sono stato un uomo della televisione, è diventato un contenitore televisivo, uno studio televisivo, con i tempi anche della televisione.

Per cui si stoppavano delle situazioni, si diceva scusate pubblico areniano, adesso va in onda la pubblicità tra poco riprendiamo. No, questo fa si che il mito diventi, ecco, quello che hai detto prima, cronaca spicciola diventi evento televisivo.

Poi sarebbe da approfondire, anche qua l’aspetto economico. Com’è possibile che l’Arena sia sempre in disarmo economico quando dagli anni che ho io cominciato a documentare ad oggi be, negli anni di allora c’erano addirittura i 16-mila e 17-mila e 18-mila spettatori paganti.

Oggi sono un poco meno perché si è ridimensionato il tutto però ugualmente è un volano motore per questa città. Un indotto economico enorme. A proposito di questo, ha fatto un silenzio tombale veramente un silenzio tombale, il nulla, che è uscito dalla Intelligence veronese, quando poco tempo fa, l’Arena rischiava il de profundis, e questo aveva fatto un rumore enorme quel silenzio, dobbiamo dire.

Francesca Martini: Alla fine di tutto, per concludere questa nostra chiacchierata immagino, che cosa ti rimane e che cosa vorresti, che cosa ti manca anche, di quel periodo in cui tu ti occupavi dell’arena di verona, degli spettacoli, che lavoravi proprio per questo mondo.

Claudio Capitini: Di quegli anni rimane per fortuna un libro, “E Lucevan le Stelle” che è nato proprio per queste memorie. Che cosa mi manca l’ho ben presente in testa, e andrò a colmare anche questa lacuna.

Sai che cos’è? L’idea di uno spettacolo, vorrò che Lucevan le stelle, diventi uno spettacolo musicale, un melodramma, magari perché no con l’orchestra del conservatorio, con i giovani cantanti del conservatorio, in scena ologrammi dei grandi artisti di allora, e una volta che lo spettacolo fosse stato varato, spero di farlo per la prossima estate, portarlo in giro. A cominciare dai medesimi conservatori italiani, per far vedere che il melodramma non è morto, è che dipende sempre da come va in qualche modo gestito, ed è giornalista anche diciamolo pure comunicato al mondo dei giovani.

Diceva un grande, Lorin Maazel, anch’esso tra i miei intervistati, che mai come in quegli anni il mondo della lirica era osservato dal mondo dei giovani. Se i giovani sembrano allontanarsi dal melodramma, non è colpa dei giovani, è colpa nostra che non sappiamo proporlo in modo che il gusto dei giovani s’incontri con questi miti sempiterni.

Io, se posso, nel mio piccolo modestissimamente, con uno spettacolo cercherò di far rivivere i gradi della scena così come sono scritti in questo “E Lucevan le Stelle“.

Francesca Martini: In  bocca al lupo, perché mi sembra un bel progetto, impegnativo, ma ce la puoi fare. Mi rimane da ricordare Claudio Capitini, giornalista l’autore di questo libro “E Lucevan le Stelleedizioni Gabrielli, insomma per gli appassionati per i curiosi, per coloro che voglio fare questa cavalcata nella storia dell’Arena di Verona della città di Verona e della nostra cultura, può essere un bel libro, un regalo da fare, e da vivere, da conoscere, grazie mille Claudio e grazie mille a tutti voi per essere stai in nostra compagnia.

A presto.

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John Shelby Spong, vescovo episcopaliano, scrittore