LA TEOLOGIA ALTERNATIVA DI ARMIDO RIZZI, NEL NUOVO LIBRO DI CARMINE DI SANTE

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Dentro la Bibbia. La teologia alternativa di Armido Rizzi, di Carmine Di Sante, Gabrielli editori

di Marco Campedelli*

“La teologia di Armido Rizzi e di Carmine Di Sante è una teologia esodale, che si leva i sandali. Che accetta di stare a piedi nudi. Che non cammina su Dio ma con Dio. Una teologia migrante.”

Questo libro è più di un libro. È un incontro, il dialogo silenzioso tra chi scrive e colui del quale si scrive. Perché se il contenuto del libro riguarda la teologia di Armido Rizzi, lo sguardo da cui questa teologia è riportata e sintetizzata è quello di Carmine Di Sante.  Per questo è un libro di teologia e nel contempo un libro di ermeneutica teologica.
La bellezza di questo testo sta nel fatto che la sua scrittura non smentisce il contenuto ma gli rimane fedele. Cioè se questo libro parla di teologia dell’alterità, del dialogo, della relazione, è perché nasce da una esperienza di alterità, dialogo e relazione. È un pensiero questo che si sviluppa a partire dal riconoscimento e dalla riconoscenza.
Del riconoscimento perché Carmine riconosce ad Armido Rizzi di aver pensato una teologia alternativa, capace di destrutturare un impianto dominante e rassicurante come quello della teologia basata sulla metafisica e la filosofia greca.  Un riconoscimento che Carmine illustra e racconta con rigore e puntualità.
Questo riconoscimento ha anche il sapore della riconoscenza, perché in quest’opera Carmine esprime la sua gratitudine al Maestro e lo fa da teologo, cioè non solo rileggendone criticamente il pensiero ma coltivando pazientemente quello stesso orizzonte teologico che di fatto costituisce la via maestra sulla quale Carmine si è orientato nella sua ricerca e nel suo lavoro teologico. Mi sembra che questo modo di riconoscersi e essere riconoscenti sia dare spazio e dignità al sentimento nel lavoro teologico.  La Premio Nobel della Letteratura del 2015 Svletana Alechvic ha scritto che “il sentimento è un documento”. Quindi legittima un pensiero riconoscente.

La teologia di Armido Rizzi e di Carmine Di Sante, svolge una funzione destabilizzante. Vorrei riportare per dire questo proprio un testo di Platone quando parla della servetta di Tracia:
“ Talete, mentre stava scrutando le stelle e guardava in alto, cadde in un pozzo. Allora una servetta di Tracia, garbata e graziosa, rise dicendogli che si dava un gran da fare a conoscere le cose del cielo, ma le cose che gli stavano dappresso, davanti ai piedi, gli rimanevano nascoste” (Platone, Teeteto 174).

Davanti a una teologia tutta preoccupata delle cose del cielo, il contributo di Armido e Carmine è quello di ricordare le “cose dappresso”, di essere “fedeli alla terra”, per evocare Bonhoeffer.
Il pensiero biblico è il grido della terra che rompe il muro di un pensiero teologico aristocraticamente chiuso su se stesso e avvitato sul principio dell’io.
La teologia alternativa, per fare un gioco con la parola, rimette al mondo, fa nascere di nuovo l’altro – alter/nativa. Mette al centro di se stessa l’altro. Ma mette al centro una alterità che riguarda per primo Dio. Dio non più come fondamento di un principio identitario escludente, ma Dio come principio di alterità includente e conviviale.

Per questo vorrei proporre TRE IMMAGINI BIBLICHE per dire questa teologia alternativa di Rizzi e di Sante

È UNA TEOLOGIA ESODALE: perché esce, accetta il rischio, si mette in cammino verso una promessa. Il testo dell’esodo di Mosè sul monte Sinai ci regala a proposito due suggestioni: Mosè che davanti al roveto si leva i sandali. La teologia di Rizzi e di Di Sante è una teologia che si leva i sandali. Che accetta di stare a piedi nudi. Che non cammina su Dio ma con Dio.  Una teologia non arrogante, non definitoria, non padrona della verità. Ma una teologia che si mette in ascolto, che riconosce l’alterità di Dio e non calpesta la terra, ma si mette in viaggio. Si spoglia delle proprie sicurezze e accetta lo stato di viandante, di migrante. Una teologia migrante appunto. Davanti a un Mosè dai piedi nudi, che si è tolto i sandali, il Dio della Bibbia si rivela come Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Come cioè il Dio non dei principi ma delle persone. Il Dio dei volti. La teologia alternativa rizziana e dicarminiana è la teologia delle persone, dei volti. Ma siccome le persone vivono nella storia diventa anche la teologia dei diritti: perché non solo parte dal grido della vedova, dell’orfano, dello straniero, ma difende la loro vita e la loro dignità

– La seconda immagine: è UNA TEOLOGIA OSPITALE e quindi nonviolenta. Qui rimando all’incontro di Abramo con i tre angeli alla quercia di Mamre. La teologia di Rizzi e di Di Sante è una teologia plurale perché si appella al principio genetico della pluralità. Non è alternativa perché si oppone a un’altra teologia diventando poi essa stessa un altro sistema chiuso, magari alternativo. Questa teologia offre a partire da dentro la Bibbia un paradigma nuovo perché le diverse teologie possano ripensare sé stesse. Una teologia che rinuncia come il Dio della Genesi alla sua onnipotenza per lasciare spazio all’altro.  Questa teologia ospitale porta una nascita inaspettata nel mondo, non una teologia mortale ma una teologia natale, per evocare un pensiero di Hannah Arendt.

Terza immagine: la teologia alternativa raccontata in questo libro è LA TEOLOGIA DELLE BRICIOLE. Mi rifaccio al testo evangelico dell’incontro di Gesù con la donna sirofenicia. Da una parte c’è una madre che chiede di guarire la sua figlia morente e dall’altra un maestro, Gesù, che dice di essere venuto solo per i suoi. Non per gli altri. Non per gli stranieri. Lo dice con quell’immagine dura, crudele: “Non è bene prendere il pane dei figli e lanciarlo ai cani”. Ma quella donna non desiste: “Certo Signore ma anche i cani sotto la tavola si nutrono delle briciole che fanno cadere i loro padroni” (Cfr Mc 7,27-28).  Questa donna con la sua forza disarmata aiuta Gesù a cambiare la sua idea su Dio.  Dal Dio di alcuni al Dio di tutti. Ed è questo il compito della teologia. Di una teologa alternativa come quella di Armido e di Carmine. Liberare Dio da un pensiero chiuso e liberare noi da categorie che lo hanno separato dalla storia e dalla vita.  Mi sono fatta cane, sembra dire la donna, perché tu potessi farti pane.

Un quaderno di teologia di qualche anno fa trattava il tema per me molto attraente: teologia e biografia. Era la raccolta di conversazioni con teologi e teologhe sulla loro teologia e la loro biografia. C’è chi pensa che un pensiero per essere più puro, più oggettivo deve andare oltre, distinguersi, separarsi, dalla propria biografia. Ancora una volta un pensiero che si separa dal corpo, dalla storia, dai volti.

In realtà la propria teologia è strettamente legata alla propria biografia. Lo dice bene il pensiero e la vita dei nostri amici Armido e Carmine.

Chi segue una teologia alternativa ne accetta anche il rischio. Non siede in compagnia dei potenti, né sale su cattedre di rassicuranti accademie, vive piuttosto nel proprio corpo e nel proprio destino la marginalità che questa scelta comporta. Non discute dalle calde stanze di un seminario o di una facoltà romana, su l’orfano, la vedova, lo straniero, ma in qualche misura vive il rischio, la marginalità e talvolta la solitudine della vedova, dell’orfano e dello straniero.

E corregge così quel principio cartesiano “penso dunque sono” con “vivo, accolgo, amo dunque sono”.

Sui barconi di Lampedusa sono stati trovati libri della Bibbia e del Corano.  Libri sacri portati dietro come unica terra dove riposare e in cui sperare.

Amo pensare il “dentro la Bibbia” come questo “fuori nel mondo”, questo esporsi, imbarcarsi, mettersi di nuovo in cammino. In un tempo di muri e di fili spinati la teologia di Armido e di Carmine è un antidoto contro la disumanità, un appello a salvare il volto dell’altro, ultima traccia di Dio, è un incoraggiamento anche per noi a camminare non da padroni ma da viandanti, da donne e uomini riconosciuti e riconoscenti.

* Don MARCO CAMPEDELLI, 55 anni, ha studiato presso lo Studio teologico di Verona ottenendo il dottorato a Padova ed è docente all’Istituto superiore di Scienze religiose San Pietro Martire di Verona oltre che insegnante di religione al liceo classico Maffei. A livello pastorale, dopo essere stato per molti anni co-parroco nella chiesa di San Nicolò di Verona, dal 2017 collabora con Mons. Luigi Adami  per la  cura della parrocchia di San Zeno di Colognola ai Colli (VR). Don Marco fin da bambino è stato discepolo del maestro Nino Pozzo, formandosi nella tradizione del teatro dei burattini, un patrimonio umano e culturale a cui il sacerdote attinge da tempo per diffondere il messaggio evangelico in modo laico e non escludente.

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