Amori consacrati, a cura di Franco Barbero

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Testimonianze di suore, frati e preti omosessuali in Italia

Più che mai attuale, come il termine “frociaggine” sdoganato da Papa Francesco, è il libro che riproponiamo, AMORI CONSACRATI. Testimonianze di suore, frati e preti omosessuali in Italia a cura di Franco Barbero, una raccolta di testimonianze dell’essere omosessuali e consacrati, una realtà che emerge raramente, un cammino difficile pieno di tabù, paure, giudizi e pregiudizi all’interno della Chiesa Cattolica.

Amori consacrati si rivolge a chiunque si sia post* delle domande.
Nelle sue pagine, rigorosamente documentate, sono raccontati i cammini di persone che vogliono essere se stesse, nella vita individuale, relazionale e amorosa, portando avanti la loro fede, persone che, radicate nella fiducia in Dio, trovano la libertà di amare secondo ciò che si è, fuori o dentro un convento, una canonica o un monastero.
“Persone adulte che finalmente sanno vivere appieno la libertà evangelica fuori dai sensi di colpa e dall’ombra del peccato.”
Franco Barbero, sacerdote dal 1963 al 2003, vive e opera a Pinerolo (Torino) dove anima la comunità “Ascolto e preghiera”; si occupa di gruppi di ricerca biblica e teologica in Italia e all’estero.

Dal libro, la testimonianza di “don Giuseppe”, pp. 28 – 29 di Amori consacrati, a cura di Franco Barbero

(…) All’interno della Chiesa chi vive l’omosessualità in maniera integrata, anche se a volte ancora in maniera problematica, come è per me, è quasi “costretto” a evolversi spiritualmente per raggiungere una maggiore libertà e ”adultità” nella fede. Il bambino è colui che deve chiedere in tutto il permesso alla maestra, anche per prendere la penna o uscire dall’aula. Tanti cristiani omosessuali, così come tanti preti, rischiano di vivere più come bambini invece che da adulti la loro vita di fede ed ecclesiale, aspettando sempre che sia il Magistero a dare l’ok per le coppie omosessuali. E finché la Chiesa non produrrà un documento o un permesso, restano solamente a livello di paura o di critica, rimangono, a mio avviso, succubi di loro stessi e fanno rimanere succubi gli altri. Poi però si riservano spazi separati di sfogo della loro affettività e sessualità. Ma tutto questo non fa crescere né loro stessi, né la Chiesa.
Ho iniziato ad affrontare tutto questo a 30 anni passati, e fin da subito ho sentito di dover crescere come persona umana. È facile uscire, sfogarmi in qualche pulsione, poi confessarmi e rientrare come se niente fosse. Ma io non ci riesco perché questa sarebbe davvero una doppia vita. Invece la sintesi mi costringe a crescere come cristiano e come prete.
Dopo essermi scoperto omosessuale, ho avuto subito la necessità di comunicare la mia nuova consapevolezza alle persone a me care. Sono di una famiglia molto credente e molto aperta: l’ho detto subito alle mie sorelle, a mio fratello e ai miei cognati. Non hanno manifestato problemi nei miei confronti ma al contrario una piena accoglienza, e mi hanno chiesto di aiutarli a capire perché era una realtà che non conoscevano o conoscevano poco. L’ho detto anche agli amici più vicini, e qualcuno dopo questo si è aperto di più sulla sua vita di coppia eterosessuale. L’apertura genera apertura. Di questo sono convinto. L’ho vissuto e lo vivo in famiglia ma anche nel mio lavoro pastorale, con giovani e anziani, eterosessuali ed omosessuali.
È nell’anno 2000, l’anno del Giubileo e della Porta Santa, che ho iniziato a vivere questa liberazione dal sapore biblico. Il profeta Isaia scrive nel suo libro al capitolo 9: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”, un cammino che per me è stato travagliato e che è ancora in corso, ma che mi fa sperimentare la luce e la guida di Dio. Quando ho varcato questa “porta santa” della mia vita che pensavo fosse invalicabile, mi sono sentito in pace. Ho accettato quello che sono e questo mi ha anche fatto scoprire di più l’essere “uomo”.
Uno dei motivi dell’omofobia è che l’omosessualità sembra rimettere in questione l’essere uomo o donna. Nella mia generazione c’erano pochi modelli: l’idea è che tutti i maschi giocassero a calcio e l’omosessuale fosse solo un depravato ed un “non uomo”. Ma poi si scopre che non è proprio così e che l’essere uomo non dipende né dall’amare il calcio né dall’orientamento sessuale. (…)

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