Natale 2020 I nostri auguri

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Carissimi amici,

So dai riscontri avuti che molti di voi hanno gradito le riflessioni che ho inviato come augurio per il Natale 2019. Vi sono grato per esserci e per la vita che donate oggi anche nelle circostanze difficili in cui ci troviamo e che ci chiedono un particolare, e a volte faticoso, impegno.
Gesù di Nazareth, nostro maestro, ci diceva che se abbiamo fede possiamo spostare le montagne; eppure, è più facile oggi, metaforicamente, “spostare le montagne” che fare arrivare un sorriso a chi indossa una mascherina. È ora difficile riconoscere chi ti passa a un metro di distanza e la gioia che oggi vorresti offrire a chi per primo incontri si ferma in gola.
Ciascuno di voi per esperienza sa che i messaggi più profondi si comunicano in modo non-verbale; sappiamo anche che il concepimento della vita umana avviene nel silenzio più intenso e più profondo. Ora le distanze dovute per contrastare il diffondersi del virus Covid-19 e le comprensibili paure suscitate ostacolano la libertà di generare. E sappiamo bene che il futuro dei nostri mondi, dei nostri popoli dipendono dalla natalità di oggi.
E allora emergono, purtroppo, considerazioni tristi: questa pandemia non può che rallegrare una ristrettissima parte di umanità protetta oltre ogni dire che, in una visione “maltusiana” (1), incoraggia la diminuzione del numero degli esseri umani su questa terra e afferma che i poveri esistono perché non ci sono beni sufficienti per tutti. In realtà questa ristretta e ricca minoranza è piena di ogni superfluo per il quale è stato consumato il presente e il futuro, inquinando a più non posso e mettendo in pericolo la stessa vita umana sulla terra.
Questo insieme di pensieri non è peregrino perché di fatto l’attuale pandemia è frutto dello sviluppo capitalistico sempre più veloce che, dall’immediato dopoguerra ha reso sempre più invivibile il cielo e la terra mentre ha concentrato le ricchezze in pochissime mani.
Ora si pensa di risolvere tutto con il vaccino e con un enorme investimento finanziario, ma intanto non si dà sicurezza universale della gratuità del vaccino e i paesi e i popoli più poveri rimarranno scoperti, così come i loro territori che saranno alla mercé degli speculatori. Siamo di fronte ad una grande guerra.
Fa temere in questo fosco orizzonte la mancanza di un urlo di indignazione per l’assenza di una prospettica inversione ad “U” nella direzione di una equa e solidale organizzazione della convivenza umana e delle relative economie.

In tale situazione il dipanamento di questo nodo scorsoio, in cui decine di migliaia di concittadini sono morti, muoiono e moriranno in tempi non propri come conseguenza di responsabilità prevedibili, non andrà a buon fine per merito di un vaccino. Ci sarà come una pausa… ma nessuno può certificare, con una parola equivalente, una salvezza raggiunta. L’ambiente è talmente malridotto che non ci si può proiettare verso una danza di liberazione.
Va imboccata una strada che porti alla sicurezza della salvezza socialmente stabile. L’unica che io conosco e che mi è sottopelle per la cultura contadina di cui sono impastato è la strada della sobrietà: consumare sempre vicino allo zero e con il minimo realizzare il massimo della Parola che ci fonda. Ritrovare le parole che ci edificano e ci legano sia come popolo che come persone. Se vogliamo ritrovare la forza e sconfiggere ogni virus dobbiamo organizzare, dal bambino all’anziano morente, come una corsa ad ostacoli per cogliere i significati più profondi e captare le energie più corroboranti dalle parole che usiamo o che dovremmo usare.
E allora leggere bene per agire meglio, per migliorare la salute e vivere in leggerezza.
E possibilmente in un libro cartaceo in cui, a differenza di ogni altro strumento di comunicazione, il tutto è ben sostenuto in unità da una solida costa con il titolo sovraimpresso.
Da qui due proposte:

Una prima proposta

Voi sapete che siamo editori da una vita, e stampiamo libri. Ora i libri occupano spazio e c’è bisogno di alleggerire il magazzino di libri bellissimi per forma e contenuto per ricavare altrettanti spazi per le novità. Questi libri noi li offriamo in regalo, anche in più copie, per offrire la possibilità di una lettura comune con gli amici così da acquisire parole e contenuti nuovi e rafforzare le relazioni.
Nel rispetto delle norme anti-pandemiche potete telefonare al sottoscritto allo 045 7725374 oppure al 333 5266784, per fissare un incontro o per avere un consiglio di lettura. Potete venire da soli o accompagnati da una o due persone. Sarete accolti e accompagnati nella libreria per cogliere pagine antiche ma anche sentieri nuovi. Sarà una gioia tornare a casa con un pacco di libri che danno il senso di una concreta forma di comunicazione. Ovviamente oltre ai libri omaggio potete portare a casa proposte librarie recentissime.

Una seconda proposta

Ho stampato libri per molti… ho acquistato in cinquant’anni di lavoro tanta sapienza e tanta saggezza. Mi sono sentito in dovere di mettere per iscritto, e pubblicare in un volume (in corso di stampa), quanto appreso perché la sapienza e la saggezza acquisite non vengano disperse. L’argomento che fa da perno al mio narrare approfondito, di cui Gesù di Nazareth è il Maestro, sta nel rimettere in moto e far assaporare a molti la sapiente vita giubilare di origine biblica ed evangelica che tutto sconvolge e tutto rinnova: la vita personale, familiare e sociale, ivi compresa la vita ambientale. Lo scopo è ritornare a sorridere al sole alla cui cura e forza tutto è affidato. Il libro sarà presto annunciato e verranno comunicate le modalità per la prenotazione. A mo’ di assaggio, vi allego una pagina, tratta dal mio futuro libro, intitolata: “Dalla storia di un gelso un monito e una proposta”. Vi ringrazio per l’attenzione piena di pazienza.

E siccome il giorno di Natale è la festa dell’ultimo nato, Buon Natale ad ognuno di voi se…? a voi il compito di scoprirlo!

Tanti auguri da Emilio Gabrielli e da tutta la famiglia che ha originato questa realtà chiamata Gabrielli editori: Lidia, Cecilia, Lucia, Agnese. 

(1) da Thomas Robert Malthus (13 febbraio1766 – 29 dicembre 1834)

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DALLA STORIA DI UN GELSO UN MONITO E UNA PROPOSTA

Mi sembrava, da qualche settimana, di aver chiuso definitivamente il capitolo Tredicesimo con la narrazione de Il campo a due piani, ma le suggestioni giubilari per le comunità del villaggio continuano a risuonare in maniera insperata e provvidenziale; e questo ampliarsi del testo testimonia che tutte le pagine sono state lungamente pensate nelle più svariate situazioni temporali e spaziali. Non è un libro scritto a tavolino ma è frutto di unità di vita diventata memoria: memoria propulsiva di futuro. La riporto, questa notizia, approfondita, come da lettera inviata agli amici e la universalizzo dandole la giusta dignità di libro.

Caro amico,

È partito in questi ultimi tempi dalla piccola frazione di Cengia di Castelrotto di San Pietro in Cariano (Verona) un grande e universale messaggio dalle recenti vicissitudini traumatiche di un gelso. Era lì da più di cento anni a testimoniare la coltura dei bachi da seta che aveva come centro propulsore lo stesso edificio che ora sforna libri per lo sviluppo della vita interiore di molti. Insisteva e insiste ancora il Gelso sulla proprietà dei Gabrielli editori.

Nel lontano 1984 un altro gelso, a pochi metri di distanza, su terreno non di nostra proprietà, e compagno di testimonianza della stessa storia, per mano d’uomo e per mezzo di una sega adatta all’uopo fu, senza motivo, abbattuto. Il mito della strada larga e asfaltata aveva vinto. Forse oggi l’avrebbero risparmiato di fronte al bisogno immenso che c’è di ossigeno, e di qualità, per salvare tanti uomini e tante donne dalle grinfie del virus … o forse no, perché non sapevano, o non sanno ancora, che il gelso è una pianta generosa perché nel suo autocurarsi produce più ossigeno di quello che gli serve, per la sintesi clorofilliana, di riportarsi a pari con l’anidride carbonica; ossigeno sovrabbondante che immette nell’aria per appianare eventuali altri debiti di ossigeno di altre piante dagli animali e dagli esseri umani.

Torniamo ai nostri tempi e precisamente a domenica 23 agosto 2020; nel pomeriggio si abbatte sul gelso un fortissimo tornado locale che squassa la pianta e a nord ovest strappa le radici indebolite dalla copertura dell’asfalto messo negli ultimi anni. Le altre radici, a sud, resistono, ma il grande albero perde l’equilibrio e cade a terra su sé stesso e sulle radici rimaste ferme al proprio posto. La sofferenza fu enorme per il Gelso, ma si rivelò anche nei vicini che per decine di anni avevano goduto della sua ombra e delle sue more. Che fare? Aspettammo e il tempo ci diede consiglio. Il gelso fu generoso anche nella sua massima sofferenza. Nel frattempo, quasi ogni giorno andavo a consolarmi con altri due giovani gelsi che avevo piantato per arricchire di ossigeno il mondo mio, della mia famiglia, dei vicini e non solo loro. Mi sentivo vieppiù fratello universale. Mi sembrava di accarezzare l’umano.

E ora ancora di più. Il Gelso, che depositato a terra, e come dormiente, appariva in tutta la sua grandezza, dopo pochi giorni si mise a gemmare come fosse primavera e si caricò di innumerevoli e minute more. Stefano, marito di mia figlia Cecilia, al vederlo così fortemente e appassionatamente vivo, esclamò, anzi sentenziò: noi non possiamo negargli il futuro. Mi misi quindi a potarlo con cura mentre tutti insieme ci si preoccupava per organizzare la Resurrezione.

C’era in quella preoccupazione comune non solo un bisogno di sostentamento futuro della nostra vita e delle generazioni che verranno, ma anche una gratitudine di tante generazioni che lungo un secolo erano state aiutate a “sfangare la vita” con quelle leggiadre foglioline raccolte con cura e date in pasto a bachi laboriosissimi che tenevano in attività l’intera casa con tutti i suoi abitanti. Doveva essere una attività fiorente quella della bachicoltura e un po’ in tutta la Valpolicella. Che poi Cengia e la nostra casa rappresentasse un centro di raccordo economico e produttore di seta ne fa fede il bellissimo viale di Gelsi che rafforza la bontà climatica della preziosa Contrada insistente tra Ville e corti di pregio. Mentre potavo e preparavo alla Resurrezione vicina questo gelso accasciato a terra ma non domo, sentivo provenire, dal profondo dei tempi, voci di innumerevoli ragazzi, di giovini e giovinette che, mentre davano una mano, sparpagliati tra rami e fogliame del grande albero, a pelarlo e a riempire adeguati sacchi per i bachi in attesa, si scambiavano parole di una più profonda conoscenza e solidarietà. L’albero come scuola fisica e viva di convivenza.

L’auspicio è che questa storia possa riprendere cittadinanza per contribuire alla salvezza integrata della vita e con essa alla nascita di bambini nuovi e sani con strutture respiratorie naturali che permettano un salubre e allegro respirare.  Noi ce l’abbiamo messa tutta e testimoniamo che sabato 17 ottobre 2020 di primo mattino, lì sul posto, c’era una squadra di uomini esperti del mestiere, un camion con una gru adeguata allo scopo, e una ruspetta capace di avvicinarsi alla pianta con la stessa maestria di un chirurgo. Tutto divenne pronto, in poche ore, per riportare il Gelso in posizione eretta. Possiamo con commozione testimoniare che mai sposa è stata accompagnata con tale delicatezza al primo passo di danza nel giorno delle nozze come dalla gru il gelso. Afferrato delicatamente dalla posizione di giacenza il gelso riprese quella sua posizione eretta a lui connaturale e respirarono anche le radici che poterono distendersi una volta liberate dal peso sovrastante del tronco.

A tutti i nostri lettori un invito a una visita di incoraggiamento al Gelso, qui in via Cengia 67, perché dal profondo del suo essere voglia impartire a questo mondo impazzito uno o più moniti, una o più proposte.

Monito I: allorquando un uomo o una donna, una famiglia o una comunità vuole iniziare o portare avanti una attività  già iniziata non può soffermarsi unicamente al quanto rende, ma soprattutto al che cosa serve e a quanto può essere utile alla vita intesa in senso universale. Ed è necessario attendere dall’universo un rimando: viste queste varie necessità perché l’equilibrio vitale regga fa, o meglio fate, questo e non altro e, se la scelta errata è stata fatta da diverso tempo, cambia, cambiate, registro.

Monito II: di fronte alle esigenze della vita universale non incaponirsi mai, economicamente, a percorrere una sola strada, ad esempio incaponirsi a vivere di patate, o di vino, in parole povere di vivere di mono-coltura. Questa mentalità monocolturale mentre da una parte impoverisce il terreno fino a portarlo all’improduttività, dall’altra essicca l’animo umano, di singoli e comunità, fissando le loro relazioni economiche, nell’incaponirsi ad infiammare finanziariamente il mondo dove la vita si riduce in un gioco infinito e tetro del vendere, del comprare e del contare. In fondo al processo appare come un buco nero, lo stiamo sperimentando in diretta: un collasso di vitalità universale. Il mondo è in metastasi e la pandemia è la manifestazione di una grande massa tumorale in cui le cellule si sono impazzite e nell’impazzimento c’è il disfacimento degli organismi vitali,  togliendogli la gioia di esprimere, tali relazioni, con lo scambio di prodotti e di conoscenze e risorse produttive.

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