Il lavoro. Lavorare per chi, perché, come

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GLI ITALIANI: UN POPOLO CON TANTE ETICHE
Per un ethos condiviso. Il Lavoro: lavorare per chi, per-ché, come (I sessione)

Traccia per la terza Agorà “tra fede e laicità” svoltasi nel Monastero di Fonte Avelllana dal 25 al 27 aprile 2014.

C’è la sensazione, a fior di pelle, di un degrado della convivenza e dell’economia e la convinzione che esso non può che espandersi sempre di più fino a sfiorare il baratro del fallimento i cui costi vengono pagati per lo più da coloro che hanno avuto sempre meno.
Dentro questo scenario drammatico va trovata la via della risalita verso un’aria di convivenza più salubre ed eco compatibile costantemente risanata da un comune sentire (ethos compatibile). Ethos comune tutto da ricostruire.
Inizialmente pensavamo che questa via per un’etica comune la potessimo ritrovare attraverso la ricostruzione di un radicale nuovo modo di sentire e vivere la rappresentanza politica e a questo fine avevamo pensato il titolo “Per una nuova etica politico/sociale, fonte di pace e di progresso, andate a servire la Re(s)pubblica senza bisaccia e senza calzari”. Supportati da un’ulteriore riflessione siamo arrivati alla conclusione, ragionando sulla Costituzione, che i padri costituenti avevano ragione a fondare un’etica comune a partire dal lavoro (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”). Infatti il lavoro riguarda tutti: piccoli e grandi e se c’è un’armonia dei lavori c’è anche una strada per le multiformi relazioni tra i cittadini.
E, quindi, in obbedienza alla Costituzione e in continuità con l’agorà dedicata ai giovani di settembre 2013, si è pensato di dare all’incontro di aprile questo titolo:

 Per un ethos condiviso. Il lavoro: lavorare per chi, per-ché, come
Con questo titolo come bagaglio ci siamo messi a pensare e a cercare di mettere in evidenza alcune delle problematiche che sono affiorate alla nostra coscienza, tra le tante, ne siamo sicuri, che ciascuno porta con sé come dono. Problematiche che ci comunicheremo nella serata di Venerdì 25 Aprile come base di partenza dell’approfondimento comune delle giornate di Sabato e di Domenica.

Tracce per la preparazione all’Agorà
1) La specializzazione del lavoro e la frammentazione dei lavoratori e della società… l’incapacità a comprendersi per la specializzazione dei linguaggi che tutte le categorie tendono ad usare anche per la vita quotidiana generando una confusione e una incomunicabilità generale. Tutti fanno finta di aver capito, ma poi rimangono muti e le distanze aumentano.

2) Il diaframma che si è creato tra il lavoro intellettuale, burocratico e il lavoro manuale con una diminuzione dell’espressione delle capacità estetiche e della concretizzazione della bellezza e dell’autonomia espressiva; le mani sembra che non esistano più.

3) Il lavoro come costruzione di sé o come consumo di sé… Il lavoro dipendente come un asservimento progressivo… non solo personale ma anche sociale. Se è la finanza mondiale dei più ricchi che determina i fini, non siamo diventati tutti dei lavoratori dipendenti? Anzi è il lavoro che è divenuto dipendente.

4) Per non soccombere a questo tentativo di imperialismo finanziario sovrannazionale non occorre dunque fare un lavoro previo? Il lavoro del lavorarsi… non è giunto il momento di preparare da lontano il lavorare attraverso l’investigazione, la meditazione e la preghiera?

5)  Se il lavoro è un servizio, già il termine servizio è comprensivo di gratuità; allora come calcolare il corrispettivo? Sono i bisogni essenziali della persona e della sua famiglia o in base a parametri costruiti da chi vende il suo servizio? E la ricchezza della relazione dove va a finire? Il popolo non viene forse  diviso dai gradi di stipendio: e se c’è questa divisione, potrà mai avere un’etica comune?

6) Se il perché del lavoro è quello di avere uno stipendio, trovare un lavoro è trovare uno stipendio; e se quel lavoro ha finalità negative e  non ce n’è un altro, uno dovrebbe dunque morire di fame per rispettare la sua coscienza? Il “ricatto del pane”… il lavoro come un lento suicidio della persona e della collettività.

7) A qualsiasi lavoro corrisponda, per essere un po’ umano, il necessario riposo, purtroppo non  è socialmente condiviso proprio perché il lavoro, oggi, non è più con gli altri e insieme agli altri e, quindi, senza un’unità intrinseca di fini e di modalità. A maggior ragione bisogna ritrovare una strada per darsi un tempo di riposo/sosta per ritrovare un orizzonte condiviso. Necessità resa più urgente dal fatto che questo diritto/ dovere al riposo reso individualizzato, non essendo più difeso dal riposo comune, cede sotto i “colpi” delle esigenze del profitto immediato. (Il riposo sabbatico biblico ha ancora una sua forza cogente intrinseca?)

PER CHI LAVORARE: è possibile possa esistere un essere umano slegato dall’universo? Non è possibile e quindi non è possibile che alcun pensiero umano, nessuna azione, nessuna attività può essere slegata dall’universalità del suo orizzonte. E allora lavorare per chi?

PER-CHÉ LAVORARE: per dare unità al proprio  fantasticare, al nostro pensare, al nostro sentire: se non si arriva all’azione non c’è compimento. E se non c’è compimento rimango solitario, senza relazione con me stesso e con gli altri. Ma ciò che viene chiamato lavoro è compimento?

COME LAVORARE: lavorare su comando, lavorare mettendoci tutte le energie o solo quelle minime necessarie, raccordandosi con gli altri o con un solo uomo al comando?

Sul per chi, il per-ché, e sul come entriamo nel cuore del problema: oggi si tratta di “lavorare” per liberare il lavoro dal sistema di iniquità che porta con sé… quanti si guadagnano lo stipendio deformando e sfasciando il nostro corpo fisico che è la natura, l’ambiente; amministrando in modo malvagio il danaro; alimentando, anche attraverso lo sport e lo spettacolo, intere masse dall’essere se stesse; moltissimi lavori, anche pastorali, sono dei placebo anestetizzanti a disservizio del popolo.

Da qui il lavoro come impegno di liberazione facendo delle cose che non si fanno, o facendo le stesse cose in modo  diametralmente opposto.

Un grande lavoro da fare (e che è centrale per ogni orizzonte di etica comune) sta nel riportare l’uomo nel territorio attraverso una riforma fondiaria per ridare ossigeno e dignità  alle campagne e alle foreste riportando, così, i bimbi a contatto della natura; l’ossigeno purificato dovrà essere il più grande volano dell’occupazione e dell’economia con una carica di spinta  ideale vitale e vitalizzante. E solo il contatto con la terra saprà far nascere dei servizi di scambio per avviare una urgente “demonitarizzazione” della comunità umana. E l’esercizio dell’orto, ad esempio, potrà essere un anticipo di cambiamento e di speranza.
Come vedete lo spazio temporale dell’agorà prossimo è poco e così quello di settembre. Occorrerebbe un’agorà permanente attraverso forme di incontro integrative.

 Un caro saluto e un arrivederci
Gabrielli editori e Comunità Monastero Camaldolese di Fonte Avellana (PU)

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